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Tra senso e Creato

Autore: Erika Dagnino

Per la ricerca di senso possono fornirci un panorama diverso lo spirituale puro, con le sue radici millenarie, e nella loro innocenza gli animali. Ogni evento ha e assume un significato, e gli animali nella loro purezza sono. Essi insieme ai vegetali possono essere visti come veicolo di senso e consegnano all’animo umano frammenti di grande, seppur malinconico, conforto: talvolta è sufficiente vedere una rosa o un cane al guinzaglio, mentre l’elemento contemplativo in sé e per sé amplifica l’emozionale e il guardare per compenetrarsi con quello che si guarda. Contatti più diretti con la fauna e la flora domestiche non riguardando un elemento esclusivamente fisico o esclusivamente ideale, così come gli animali selvatici e le piante selvatiche sono sempre luoghi e momenti vivi, spazio-temporalità di significato vivente; che permangono nel loro movimento anche di evocazione incontrando il desiderio umano di prossimità, contiguità, unione con quei mondi: animale e vegetale. In una permanente influenza di dimensioni reciproche e di alterità tra l’essere umano e l’essere animale, tra l’essere umano e l’essere vegetale. Quella particolare presenza che la natura porta in sé e che consegna alla percezione è talmente incontestabile da giungere ad essere persino nel contatto pieno, a livello ottico ad esempio, e in quella specifica coesistenza delle differenze si rivela una vera e propria concretezza tra accessibilità e distanza. Non un mondo altro inserito ma mai inserito, ma un mondo con cui è possibile rapportarsi entro quella che risulta essere la condizione di esseri viventi appartenenti alla madre/padre/sorella Terra, tutti in relazione peculiarmente attraverso la propria unicità: il proprio di ciascuno essere unici. Il discorso confluisce nel tema della cura dunque della libertà, così come dell’esperienza conoscitiva da parte della persona attraverso la contemplazione e attraverso i sensi. Dove la percezione e la ragione unite alla pietà coincidono con l’esplicitazione e manifestazione piena dell’essere umano in relazione con il creato. Esercizio della cura, quindi della conoscenza, quindi della libertà. Libertà che, come ci ricorda Pasolini in diversi contesti, non è mai autentica se gridata con rabbia. Ogni animale, pianta, fiore ha anche “un messaggio da trasmetterci” (Papa Bergoglio, p. 198) e può essere interpretato in mille modi, li porta in sé. Anche sul piano puramente razionale sembra venire costantemente a ribadirsi che tutti i possibili elementi in evidenza o suggeriti sono sempre dati di fatto non necessariamente spiegazione ma anche necessariamente spiegazione: è chiaro che i disegni ad esempio del manto di un ghepardo o della pelle dello sgombro hanno o non hanno un significato, che nulla o qualcosa significano sul piano realistico, sul piano metaforico. Per tentare di capire e comprendere, dove “l’etimologia delle due parole sembra a prima vista analoga ma in comprendere sembra più accentuato il senso di contenere nell’accezione di portare dentro, di fare proprio” (Caviglione M., p.2), è di fatto necessario poter condurre un’esistenza che porta su di sé la possibilità di dolore e di felicità condivisa con i mondi animale e vegetale in termini fraternosororali. Sono le alchimie interiori che possono poi portare a comprendere ed amare meglio o peggio. Ad avere presa di coscienza. Allo stesso modo guardiamo un lago metà in ombra metà illuminato dal sole, quest’ultimo nel mentre che sancisce dettagli estetici evidenzia tutti i colori della stagione in corso, e nel guardarlo percepiamo che devono essersi verificati non troppo prima mutamenti geologici dell’ambiente: le parti sommerse ora emerse, le parti emerse ora sommerse. Osservare il creato predispone e consegna anche un forte elemento di pacificazione; nella contemplazione si verifica talvolta persino una sorta di distensione, nel senso che il rapporto con l’immediatezza della natura ha una spinta particolare legata proprio a definire una conoscenza, uno stato d’animo, un senso. La natura in quanto tale può comunque rimanere un mistero. Inesauribile come inesauribile è la sua contemplazione. La fisicità del mondo animale, la fisicità del mondo vegetale, la fisicità dell’ambiente sempre ribadiscono la nostra limitazione; e se è vero che l’esperienza è in ogni caso parziale, essa non resta necessariamente limitata a quelli che sono gli elementi ravvisabili: ciascun giglio, ciascuna rosa, ogni graminacea; ciascun gatto, ogni pesce, ciascun bruco è molto più di quello che si percepisce: passando attraverso coordinate parziali, limitate alla soggettività di relazione di chi esperisce: ai confini geografici e temporali della soggettività. Di fatto, come esposto in altre sedi, c’è la parzialità: il momento in cui ciascun essere si relaziona con l’altro. Ogni relazione avviene tra parzialità. In cosa consiste dunque il varco? Quel quid connaturato che apre la porta o almeno non la chiude, contemplando ad esempio una medusa che galleggia, un lombrico che muore al sole, o una preda che fugge? Esiste una sorta di facente parte della natura in quanto tale di potenzialità relazionale, e soprattutto attraverso che cosa? Innanzitutto il varco, anche il degardianamente inteso, può essere sensoriale: come primo elemento la sensorialità dell’esperienza degli esseri viventi è relazionalità dell’individuo con la figura, il suono, l’odore, il colore, eccetera a vari livelli pluridimensionale, che riproduce l’oggetto esterno attraverso una funzionalità interiore ed eventualmente espressiva. L’incontro con l’animale o il vegetale può anche avere la stessa forza dell’apparizione: l’apparizione è un fenomeno saturante: il resto sembra dissolvere. Pensiamo a un capriolo che ci appare in una radura, al canto improvviso di un uccello, a un improvviso fiore di roccia. Il rapportarsi alla natura comunica a noi stessi le fibre più riposte, mette a parte la persona umana anche del suo proprio interrogarsi se per la crescita spirituale ci sia un valore in ciò che impedisce e se ci sia un grado valoriale maggiore o minore in ciò che facilita. E, se sotto il segno dei principi di libertà si viene o meno ad affermare con convinzione che la mancanza della spiritualità porti alla disperazione, è forse vero che l’inizio della superbia antropologica, arrivando ai nostri giorni, rischia di soffocare sempre più lo spirito e il senso della vita. Fermo restando che non si può credere in qualcosa con puro atto velleitario, ma perché lo si sente dentro e fuori di sé; e, senza retorica, ciascuno è se stesso e non potrebbe non esserlo. Sta di fatto che l’anima è in continuo divenire, mentre è e rimane vitale comunque non impietosire né essere impietosi ma credere in ogni caso e anche sobriamente nell’umana e nelle altre specie. Al tempo stesso, qualora alcune cose apparissero come paradossali, si potrebbe tenere conto che il paradosso concettuale è dato dalle griglie della ragione sovrapposte: una sorta di vicinanza di elementi che sarebbero contrari sul piano razionale mentre in realtà la vita comprende tutto: bianco, nero, conformità, difformità, sfumature innumerevoli e spesso attraverso il ritaglio di uno spicchio di evento fa vedere contraddizioni. In fondo, a livello di realtà spicciola e pura a ben guardare è quasi possibile affermare che la stessa sua costruzione (non si parla qui ovviamente del paradosso come innescante e affascinante figura letteraria) si presenta come una cattiva accettazione dei salti del reale, correndo forse il rischio di voler antropomorfizzare la vita senza guardare poeticamente la natura e l’ambiente dove il creato abita il proprio tempo e il proprio spazio. Dopo questa breve ma necessaria digressione, e tornando all’apertura relazionale, al varco che conduce ad un sempre più ampio sviluppo conoscitivo e quindi della libertà personale fino alla applicazione delle stesse conoscenza e libertà cioè fino alla azione della cura, il modo di intendere e comprendere ed amare la natura nell’esercizio della propria vitalità passa ovviamente anche attraverso la cultura, una cultura fatta di molte cose: di gesti, parole, silenzi, sguardi, attenzione, ascolto, trascrizioni, eccetera nel continuo passaggio tra percezione, riflessione, azione in una dialettica continua tra concretezza e senso, anche entro e attraverso uno sguardo poetico sul mondo. E se il grande difetto dei sognatori concreti è il tentativo di fare utopia, al tempo stesso “una mappa del mondo che non include il paese dell’Utopia non vale neppure un’occhiata” mentre “il progresso è la realizzazione dell’Utopia”. (Wilde, p.74)

Letture e approfondimenti Bergoglio J. M., Lettera Enciclica Laudato si’, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2015 Pasolini P.P./Guareschi G., La Rabbia, Italia, 1963 Von Bingen H., Liber Divinorum Operum, trad. it. Pereira M., Mondadori, Milano, 2003

Wilde O., L’anima dell’uomo nella società socialista, trad. it. Agresti A., tit. or. The soul of man under socialism, Gwynplaine Edizioni, Camerano (AN), 2012 Dagnino E., Intervista al traduttore Massimo Caviglione, Il rischio della traduzione, In poche righe, Ennepilibri, Imperia, 2007


Produttori: Edizioni Sibilla
Codice: 2588
Tra senso e Creato. © Erika Dagnino. Edizioni Sibilla. Genova Luglio 2020. Ed. Sibilla, Genova.

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Tipo di prodotto
Musica - Poesia - Narrativa
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